Do U Dare! è la nuova mostra provocatoria di Shirin Neshat in cui l’artista, attraverso una inquietante video installazione e delle fotografie di forte impatto, si interroga sulla mercificazione dell'identità, l'ascesa dell'autoritarismo e la fragile linea di demarcazione tra il sé e lo spettacolo.
Al centro della mostra c'è la video installazione immersiva di Neshat, Do U Dare!. Il film segue Nasim, giovane donna iraniana, mentre attraversa il cuore delle enclavi di immigrati a New York. Tra la cacofonia dei treni in corsa e gli sguardi stanchi degli sconosciuti, Nasim viene trascinata in un labirinto di realtà stratificate. Monitor tappezzati con l'immagine di un politico in giacca e cravatta - una figura mediatica onnipresente - incombono sul suo viaggio, che culmina in una piazza della città dove Nasim incontra proprio lui, in carne ed ossa, che pronuncia una vuota retorica a una folla di immigrati dal volto assente. Nasim osserva incredula.
L'odissea di Nasim culmina in un surreale negozio di parrucche, trasformato in un palcoscenico di umanità pietrificata. File di manichini - diversi per colore e origine, ma uguali nella loro perfezione inanimata - rispecchiano la frammentazione dell'identità sotto i sistemi di controllo. Qui l'obiettivo di Neshat indugia sull'inquietante slittamento tra la bambola e l’essere umano: un impercettibile battito di ciglia, un respiro leggero, poi figure smontate, mutilate, rotte, uno sguardo silenzioso su un mondo subalterno che tutti riconosciamo ma che non osiamo affrontare. In mezzo alla carneficina, Nasim incontra il suo doppio speculare, una replica di porcellana che porta le sue cicatrici. Questo incontro silenzioso scatena una tranquilla ribellione. In una frattura dell’agentività, Nasim si fonde con il suo doppio e decide di smantellare l'opprimente “medium” che le rende schiave riecheggiando l'assioma di Marshall McLuhan: “Il medium è il messaggio”.
A complemento del film ci sono le sorprendenti opere fotografiche di Neshat che ritraggono i soggetti umani come delicate bambole di porcellana. Smaltature crepate ed espressioni spettrali invitano gli spettatori a confrontarsi con domande inquietanti: Quanto le nostre identità sono plasmate da forze invisibili? L'autonomia può sopravvivere in un mondo in cui le vite sono confezionate e accantonate?
“Il viaggio di Nasim è una metafora del risveglio che tutti noi dobbiamo affrontare”, afferma Neshat. "In un'epoca di teatrino politico e di identità gestite, Do U Dare! non chiede una ribellione rumorosa, ma il
il coraggio di vedere – e infrangere – gli inganni che ci vincolano”.